È valida la notificazione del ricorso introduttivo di un giudizio amministrativo eseguita all’indirizzo di P.E.C. reperito sul registro IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni). La quinta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7026 del 12 dicembre 2018, si pronuncia su una questione non più originale ma pur sempre interessante: l’utilizzo, ai fini della notifica degli atti giudiziari, degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (PEC) contenuti nel registro denominato Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA).

 

La vicenda muove dalla notificazione di un ricorso introduttivo del giudizio di primo grado indirizzato, per via telematica, all’indirizzo PEC comune.civitavecchia@legalmail.it, invero pubblicizzato sulla home page del sito istituzionale di quella amministrazione, ma non anchetrasposto nel registro pubblico di riferimento utilizzabile ai sensi della L. 53/94 e ss. mm. (Registro PP.AA.) ed attinto quindi dal notificante nell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni(IPA per l’appunto).

Singolare la sorte di questo elenco, inizialmente annoverato nella tipologia dei “registri pubblici” ai sensi del comma 8 dell’art. 16 del d.l. n. 185/2008, ma poi improvvisamente scomparso alla stregua della disposizione di cui all’art. 16 ter del d.l. n. 179/2012, modificato dall’art. 45 bis, comma 2 lettera a) del d.l. n. 90/2014 che, non richiamando il succitato art. 16, ha espunto da quella tipologia proprio il Registro IPA.

Dimenticanza, refuso, “manina” intervenuta nella fase di stesura del testo definitivo?

Non è mai stato possibile accertarlo, fatto è che dal 19 agosto 2014 il completo e dettagliato elenco di indirizzi di P.E.C. delle Pubbliche Amministrazioni e dei vari uffici e dipendenze (peraltro liberamente accessibile) è risultato non più utilizzabile ai fini delle notificazioni telematiche, in luogo dell’altro, estremamente risicato, denominato “Registro PP.AA.”, gestito dal Ministero della Giustizia sul portale istituzionale (pst.giustizia.it) e consultabile solo previa autenticazione dell’utente.

Temerari gli esperimenti di disattendere il vincolo di legge, infrantisi in quell’originario orientamento di merito che ha sancito perentoriamente la nullità della notifica e la sua rilevabilità d’ufficio, pur lasciando ovvio spazio all’eventuale sanatoria, conseguente alla costituzione del destinatario dell’atto e realizzabile mediante rinnovazione (Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche presso la Corte d’Appello di Napoli, ord. 12/3/2015).

Solo parzialmente conforme la giurisprudenza delle corti di giustizia amministrativa (TAR, Basilicata-Potenza, sez. I, sent. nr. 607/2017) limitatasi a ravvisare la sola sanabilità conseguente alla costituzione del destinatario (anche al sol fine di eccepire il vizio di notifica) che abbia ricevuto l’atto introduttivo ad un indirizzo presente nel registro IniPec e non attivo da ritenersiraggiungibile mediante ordine di rinnovazione da eseguirsi con modalità cartacea (sul punto è interessante il dissidio tra T.A.R. Sicilia, Sez. III ord. 13 luglio 2017, n. 1842 T.A.R Lombardia, Milano, Sez. III, ord. 14/12/2017 n. 2381 che ritiene invece la notifica cartacea inidonea al soddisfacimento di quell’esigenza “…di correntezza della gestione informatica del processo amministrativo…” delineata dall’art. 14 del DPCM 16 febbraio 2016, n. 40, recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematica).

Rigorosa invece l’Autorità lucana nel disconoscere effetto alla notificazione eseguita ad un indirizzo di PEC indicato sul sito web della P.A. ma non anche presente nell’apposito registro pubblico (TAR, Basilicata-Potenza, sez. I, sent. nr. 607/2017), foriera di insanabile conseguenza processuale anche a prescindere dalla riconducibilità della relativa omissione all’inosservanza da parte della P.A.

Le incertezze che precedono confluiscono nella pronuncia che qui si commenta, e che, attraverso la riproposizione di parte delle indicazioni già rinvenibili nell’ordinanza resa dal T.A.R. Campania, sez. VIII nr. 1653 del 15/3/2018, concorre all’elaborazione di autorevole contributo.

Preliminare la ricostruzione storica degli eventi, utile a sancire la primarietà del registro IPA nel contesto delle disposizioni del C.A.D. (Codice dell’Amministrazione Digitale) e che il Consiglio di Stato affronta con dettagliata narrazione per come segue:

“Occorre precisare che l’Indice PA è stato il primo indirizzario PEC di tutte le pubbliche amministrazioni, come previsto dal Codice dell’amministrazione digitale (art. 47).

Il D.L. n. 185 del 2008 prevedeva che le P.A., qualora non avessero provveduto ai sensi dell’art. 47 del CAD, avrebbero dovuto istituire una casella PEC, o analogo indirizzo di PEC, dandone comunicazione al CNIPA, che avrebbe provveduto alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica (art. 16, comma 8).

La legge n. 228 del 2012 ha incluso tale indice tra i pubblici elenchi, come tale utilizzabile per tutte le notifiche, e l’art. 6-ter d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, lo ha inserito nel Codice dell’amministrazione digitale e ridenominato come Indice dei domicili digitali delle P.A. e dei gestori di pubblici servizi, ex d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, affidandone la realizzazione e gestione all’AGID, e definendolo pubblico elenco di fiducia, da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio e l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge (art. 9, comma 1). Inoltre risulta confluito al suo interno l’elenco di cui all’art. 16, comma 12, D.L. n. 179-2012, in apposita sezione espressamente definita come pubblico elenco, ai fini delle notificazioni.”

Comprensibile il richiamo allo stato dell’arte del processo telematico nella versione applicata al rito civilistico di cui si richiama quella parte che mira ad esaltare la rilevanza del domicilio telematico rappresentato dalla P.E.C., sede primaria per la “…notificazione dei propri atti presso l’indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC … ovvero presso il ReGIndE … escludendosi che la notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione e… prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo PEC del difensore, stante l’obbligo in capo a quest’ultimo di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel ReGIndE “;

Quel principio la Corte ritiene estensibile anche al processo amministrativo preordinato, come il primo, a non pregiudicare l’efficienza e l’efficacia del sistema complessivamente considerato e, come quello, caratterizzato da un manifesto depotenziamento dell’elezione di domicilio fisico in favore di quello telematico, nonostante la persistenza di “…alcune disposizioni che fanno riferimento o danno per presupposta l’elezione di domicilio in senso esclusivamente fisico: è il caso dell’art. 93 c.p.a., ma il cui contenuto applicativo deve tuttavia ritenersi “svuotato” nel nuovo assetto regolativo del domicilio eletto…”.

Prosegue, attraverso queste premesse, a formulare ulteriori considerazioni di carattere generale riferite ai tradizionali canoni di autoresponsabilità della P.A. ed al legittimo affidamento che essa deve garantire, ritenendoli utili a suggerire una valutazione di legittimità dell’utilizzo all’IPA quale registro “non pubblico” ai fini specifici della notificazione telematica, ma pur sempre “pubblico elenco in via generale” ed, in quanto tale, “…utilizzabile per le notificazioni alle P.A., soprattutto se, come nel caso in esame, l’amministrazione pubblica destinataria della notificazione telematica è rimasta inadempiente all’obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell’elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia”.

La sentenza si caratterizza per l’indispensabile interessamento all’anomala condizione di un sistema che prevede obblighi, sanzionandone l’eventuale inosservanza (amministrativa per le imprese inadempienti, disciplinare per talune categorie professionali) ma resta indifferente al protratto disinteresse della Pubblica Amministrazione che pur potrebbe ritenersi portatrice di responsabilità dirigenziale.

Essa ha carattere innovativo e persegue dichiaratamente finalità “adeguatrice” nella parte in cui sottopone ad intervento censorio quel comportamento della P.A. che, pur a voler prescindere dalla validità del registro IPA ai fini della notifica degli atti giudiziari, rimarrebbe comunque obbligata alla comunicazione dei suoi indirizzi PEC nel Registro PP.AA.

Dà in questo modo vita ad un principio che, ancorchè non letteralmente trascritto, pare possa riassumersi per come segue: o si mette in condizione l’utente di usufruire dei medesimi dati contenuti in entrambi i registri oppure l’amministrazione deve ritenersi inadempiente per averne limitato la conoscenza al solo registro al momento vigente a norma di legge (il Registro PP.AA.). E poiché da questa situazione essa trarrebbe vantaggio sul piano processuale, ergo qualunque registro pubblico è valido ad individuare l’indirizzo di P.E.C. a cui notificare atti processuali all’amministrazione diretti.

La decisione però, ancorchè apprezzabile, lascia spazio ad inevitabili perplessità che inducono a suggerire opportuna cautela nella generalizzata applicazione del principio in essa contenuto.

Essa rafforza la funzione interpretativa delle Corti di legittimità frequentemente invocata; è ispirata al perseguimento di nobili motivi, ma si risolve pur sempre in un indebito superamento del contrario dettato di legge, l’unico a poter (rectius dover) intervenire con scelta univoca e vincolante.

Quotidiano Giuridico